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    Giovedì, 09 Marzo 2017 22:29

    Coraggio rosa - Storie di donne che aiutano altre donne

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    Il giorno 8 marzo 2017 l’Istituto Italiano di cultura di Istanbul – Turchia insieme all’Istituto Cervantes, ha organizzato una giornata per celebrare la giornata internazionale della donna.
    “Coraggio rosa” è stato il titolo di questa giornata. Sono state invitate alcune donne responsabili di ONG, volontarie e religiose, a raccontare la loro esperienza e a condividere sforzo e soddisfazioni di una vita dedicata ad aiutare altre donne, giovani, anziane, bambine, in difficoltà: anime, che nonostante le ferite, le paure, le umiliazioni non smettono di cercare una vita dignitosa. Esempi fulgidi di coraggio e resilienza.
    In questa occasione sr Miriam Oyarzo, della comunità di Buyukada, ha raccontato la sua esperienza visitando le donne straniere in carcere. Ecco la sua testimonianza:

    Da 1 anno e 4 mesi visito le donne straniere in carcere a Bakırköy; una volta al mese incontro in modo particolare le donne di lingua spagnola provenienti, la maggior parte, dall’America Latina.
    Svolgo questo servizio, non sola, ma con un’equipe: p. Eleuterio ofm, sr Kayane e il Pastore Ali.
    Cerchiamo di portare un messaggio di SPERANZA tra la sofferenza, solitudine, disperazione, tristezza e depressione che vivono queste donne private della loro libertà. Loro certamente sono consapevoli di aver commesso un reato e vivono questa dura condanna, ma cercano di creare dentro il carcere un sistema di VITA NUOVA, nonostante le grosse difficoltà che trovano, per esempio:
    * la lingua: non tutte sanno parlare il turco o l’inglese,
    *la convivenza: vivere con altre persone di diverse culture e lingue,
    *solitudine: è il sentimento più frustrante,
    *senza comunicazione: tante di loro non riescono a comunicare con la famiglia,
    *impossibilità di ricevere visite: noi siamo le uniche persone che vedono dall’esterno.

    In questo tempo è nato in me la capacità di separare da una parte il male compiuto da loro (il reato) e dall’altra il RESPIRO di speranza che noi cerchiamo di dare loro, speranza che non deve essere soffocata da niente e da nessuno… Quando le incontriamo, ci dicono: portiamo area fresca, pulita, nuova e allegra.
    Loro aspettano ogni ultimo lunedì del mese: il bene, la misericordia, l’ascolto, una carezza, una preghiera... e noi ascoltiamo le loro immisurabili richieste: scarpe, abbigliamento, bibbie, rosario... che non sono altro che un grido disperato per dirci: IO ESISTO
    Come donna e religiosa sento un’empatia molto forte verso di loro, non vedo più donne che hanno sbagliato, ma donne che anelano di tornare a casa. Ho conosciuto le loro storie; mi hanno aperto il loro cuore, mi hanno raccontato le circostanze le hanno portate a sbagliare. Riesco a leggere nei loro occhi il loro pentimento, la loro paura e il vuoto che sentono... non essendo libere.
    Nei primi mesi in cui andavo in carcere, tornavo a casa carica di sentimenti confusi e durate la preghiera della sera l’unica cosa che facevo era piangere; non riuscivo neppure a pregare.
    La prima volta che entrai in carcere, durante l’incontro con loro ho tenuto tra le mie braccia una bambina appena nata che dopo qualche minuto si era addormentata. Uscendo dal centro penitenziario non riuscivo a togliermi dal cuore il volto della mamma e della bambina. Tornata a casa, le mie consorelle, entusiaste mi facevano domande sulla mia esperienza, ma io non potevo parlare… e durante la preghiera del vespro sono scoppiata in lacrime, tanto che una mia consorella, preoccupata per me, mi ha detto: “se tornerai così ogni volta è meglio che tu non vada più”. Dopo tre o quattro mesi sono diventata forte, non per me, ma per loro… sapevo che tornare faceva bene a loro, ma anche a me.
    Entrare in carcere è un’esperienza forte: attraversare le porte con il sistema di scanner oculare e sommettersi ai vari controlli mi fa sentire che devo andare lì per portare speranza e non togliere il respiro, ma donarlo.
    Il nostro lavoro non finisce solo il giorno della visita una volta al mese. Alcune donne, dopo essere uscite dal carcere cercano un appoggio, non solo materiale, ma soprattutto morale.
    Yohana è una ragazza boliviana; lei viene spesso a trovarmi a “Santa Maria”, per parlare e per sentirsi dire che ora è libera, che ora deve imparare a vivere come una donna libera. Dobbiamo accompagnare queste donne perché possano ri-imparare ad essere nuovamente LIBERE.
    Yohana, domani potrà tornare in Bolivia perché ha finito di scontare la pena e ha finito i lavori sociali; tra pochi giorni potrà riabbracciare la sua famiglia… ora finalmente ricomporrà la sua vera vita.

    Grazie!


     

     
    Letto 1350 volte Ultima modifica il Martedì, 02 Aprile 2019 09:03

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